giovedì 29 aprile 2010

lunedì 26 aprile 2010

Peiró, quando l'Inter furoreggiava in semifinale



Sartiburgnichfacchetti, Bedinguarneripicchi, Jairmazzolapeirósuarezcorso. La Grande Inter. Catenaccio, gol, lanci lunghi, contropiede e foglie morte. E astuzia, perché senza non si va da nessuna parte. A maggior ragione in finale di Coppa dei Campioni dopo un 3-1 subìto lontano dalle mura amiche. Furbone di turno, Joaquín Peiró: sangue colchonero, cuore grande e materia grigia abbondante. È lui a garantire all'Inter un posto nella finale, disputata sull'erba (e sotto la pioggia) amica di San Siro il 27 maggio 1965.
Tutto ebbe inizio con una monetina, un perfido testa o croce che estromise il Colonia dalla competizione regalando al Liverpool la semifinale: doppio 0-0 e 2-2 nello spareggio, a quell'epoca la qualificazione si decideva così. E allora c'è Anfield, e c'è Sarti che per tre volte è costretto a raccogliere il pallone in fondo al sacco: Hunt, Callaghan e St. John, meno male che c'è Peiró, abile nello sfruttare una disattenzione difensiva del Liverpool per servire a Mazzola il comodo pallone del provvisorio 1-1. Il risultato è comunque pesantissimo, un'eliminazione già scritta, anche per l'allenatore del Liverpool Bill Shankly: «Signor Herrera, come gioca questo Benfica?», domanda al Mago al termine dell'incontro, considerandosi già a San Siro, e non certo per il ritorno della semifinale. HH, ribollente di rabbia, negli otto giorni che inframezzano le due sfide non perde occasione per caricare i suoi uomini: li porta in ritiro, ci parla e conclude ogni singola chiacchierata affermando cocciutamente: «Per questi motivi tu sei più forte e perciò vinceremo».
Dopo un simile lavaggio del cervello, i nerazzurri scendono in campo con gli occhi iniettati di sangue. Corso, a distanza di anni, ricorda così quella notte indimenticabile: «Quando entrammo in campo c'era un muro di entusiasmo. Venne organizzata una fiaccolata: potevo distinguere le fiammelle degli accendini, dei giornali, i puntini luminosi delle sigarette. Ancora oggi mi si accappona la pelle». Ed è proprio lui, Mario Corso, il piede sinistro di Dio, a sbloccare il risultato dopo appena otto minuti: una foglia morta va a depositarsi in rete, il goalkeeper Lawrence è impietrito. Passa un minuto, e Mazzola lancia Peirò in profondità. Lawrence, the Flying Pig («il maiale volante»: 89 kg, un'esagerazione a quell'epoca) agguanta il pallone in sicurezza, premurandosi di stendere Peiró con una spallata. Lo spagnolo, schiumante di rabbia, si rialza, attende che lo scozzese faccia due palleggi e, al terzo, gli sottrae la palla con il mancino e la infila in rete con il destro. Due a zero, ed il cronometro dice che siamo solo al nono minuto del primo tempo. San Siro è una bolgia, Facchetti un attaccante: al 57' il Cipe chiude i conti, in finale contro il Benfica ci va la truppa di Habla Habla, Helenio Herrera. Una paperissima del portiere benfiquense Costa Pereira, favorita dalla torrenziale - e provvidenziale - pioggia abbattutasi su San Siro, regala all'Inter la seconda Coppa dei Campioni consecutiva e con essa un biglietto aereo per Buenos Aires: in Coppa Intercontinentale gli avversari sono ancora los Diablos Rojos dell'Independiente. La trasferta argentina finisce col rivelarsi una pericolosa formalità: il 3-0 di San Siro ipoteca il successo. La rete del vantaggio, manco a dirlo, porta la firma proprio di Peiró, mentre a chiudere i conti ci penserà il suo compagno di bevute Mazzola: «Cervesiña?» («birretta?») chiedeva Joaquín a Sandro, e i due fuggivano dal ritiro per godersi l'acre sapore del luppolo.
Quel gol all'Independiente sarà l'ultimo acuto di Peiró in nerazzurro. Prima del rimpatrio all'Atletico Madrid, un ultimo scorcio di gloria italiana con la Roma, e poi gli scarpini appesi ad un chiodo biancorosso. Ma con uno spicchio di cuore sempre tinto di nerazzurro.

Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

domenica 25 aprile 2010

Un super Iaquinta rilancia la Vecchia Signora nella lotta per l'Europaca



Grazie ad uno Iaquinta in forma mondiale la Juventus fa a polpette un Bari volenteroso per appena 45 minuti, insufficienti per portare a casa anche solo una parte della posta in gioco. Con questi tre punti, i bianconeri si riservano il diritto di continuare a sognare il quarto posto con annessa qualificazione alla Champions League: difficile, ma non impossibile con uno Iaquinta così.


In campo - Con Sissoko e Melo squalificati, a Zaccheroni non resta che affidarsi a Poulsen: vertice basso del rombo il danese, ai suoi lati agiranno Camoranesi e Marchisio. In difesa De Ceglie vince il ballottaggio con Grosso, mentre Amauri stringe i denti e nonostante i problemi alla schiena avuti in settimana scende in campo al fianco di Del Piero. Ventura, che ritrova Donati ed Almiron, risponde dando fiducia a chi ha avuto meno spazio: Castillo, Koman, Stellini e Belmonte hanno l'opportunità di godersi questa fantastica stagione.

Si gioca - Juventus e Bari danno vita ad un primo tempo vivace, anche se il gol resta una chimera. I primi minuti testimoniano la buona fede degli ospiti, la cui trasferta torinese è tutt'altro che una scampagnata al sapore di primavera: palla sempre a pelo d'erba, rapidi scambi e cambi di gioco, è questo il Bari targato Ventura. Per cercare di arginare la manovra biancorossa, Zaccheroni ricorre ad un semplice ma non particolarmente efficace espediente tattico: in fase di non possesso, Del Piero e Diego si allargano rispettivamente a sinistra e destra per portare pressione ai difensori baresi, chiamati costantemente ad incominciare l'azione. Il predominio territoriale è però juventino, anche se Gillet viene raramente chiamato in causa. Il Bari, dal canto suo, si limita a disinnescare le numerose ma non sempre fluide manovre juventine e ripartite in contropiede con la solita foga, sfiorando addirittura il gol: è necessario un prodigio di Buffon per negare a Koman il secondo gol in Serie A. Da segnalare poi le numerose recriminazioni da parte juventina a causa di alcuni episodi dubbi - ma apparentemente corretti - su cui il direttore di gara, Gervasoni, ha preferito non metter bocca al fischietto.

Dopo i consueti - purtroppo - tafferugli, il secondo tempo inizia con due facce nuove sul terreno di gioco: Iaquinta e Candreva rimpiazzano Amauri e Camoranesi. Ed è proprio il centravanti calabrese a cambiare volto alla gara, vestendo i panni del condottiero nell'assedio juventino. Il Bari, schiacciato nella propria metò campo, non può fare altro che subire l'iniziativa degli assatanati bianconeri: la traversa di Del Piero fa da preludio al vantaggio di Iaquinta, ispirato dal fantasioso fantasista Diego. Proprio al brasiliano Iaquinta regala il gol di quello che sarebbe il raddoppio se Gervasoni non annullasse su segnalazione del guardalinee, bravo ma tardivo a ravvisare il fuorigioco del numero 28. Perché il 2-0 venga messo a referto bisogna attendere ancora qualche minuto: su un inconsueto contropiede juventino, risposta all'unica sortita offensiva barese della ripresa, Diego viene atterrato da Gillet, impietosamente trafitto dal dischetto da Del Piero. Nel finale, tap-in vincente ancora di Iaquinta: 3-0, tutti a casa.

La chicca - Quattro mesi di stop per un menisco, ed un'astinenza dalla propria ragione di vita, il gol, che durava dal 24 settembre: la maglia, lanciata via in segno di liberazione nel giorno più adatto - oggi è il 25 aprile, non dimentichiamolo - segna il ritorno alla vita calcistica di Iaquinta.

La chiave - Amauri, anziché al calcio, gioca a fare la bella statuina: Zaccheroni non ha scelta, e lo sostituisce. Naturale ricambio, Vincenzo Iaquinta, che entra, segna, fa segnare Diego e consente allo stesso brasiliano di guadagnarsi un rigore poi trasformato con successo da capitan Del Piero. Nel finale raddoppia: il Sudafrica è vicino.

Top&Flop - Iaquinta accende la Juve, riuscendo in un'impresa assai ardua. Diego si sveglia nella ripresa, mentre Chiellini e Buffon sono due garanzie. Bene pure Candreva e Marchisio. Il Bari è già in vacanza.

Antonio Giusto

IL TABELLINO

JUVENTUS-BARI 3-0

MARCATORI: 53' e 87' Iaquinta, 69' Del Piero (rig.).

JUVENTUS (4-3-1-2): Buffon 6.5; Zebina 5, Cannavaro 6, Chiellini 6..5, De Ceglie 6; Camoranesi 5.5 (46' Candreva 6.5), Poulsen 6, Marchisio 6.5 (78' Salihamidzic s.v.); Diego 6; Amauri 5 (46' Iaquinta 7.5), Del Piero 6. A disposizione: Manninger, Legrottaglie, Grosso, Marrone. All.: Zaccheroni 6.5

BARI (4-4-2): Gillet 6; Belmonte 5.5, Bonucci 5.5, Stellini 5.5, S.Masiello 6; Alvarez 6.5 (71' Gosztonyi s.v.), Almiron 5,5, Donati 6, Koman 5.5 (63' Rivas 6); Barreto 5.5, Castillo 5 (55' Meggiorini 5). A disposizione: Padelli, Diamoutene, Parisi, De Vezze. All.: Ventura 5.5

ARBITRO: Gervasoni 6.5.

AMMONITI: Camoranesi, Iaquinta (J), Almiron, Meggiorini, Gillet (B).

Fonte: Goal.com

mercoledì 21 aprile 2010

«Allo stadio le coltellate ci stanno»

Derby, altri sei arresti per gli scontri

Riporto di seguito l'intervista al romanista accoltellato alla gola dopo il derby.


[...] tu sei il sopravvissuto di una notte di follia. Hai avuto paura di morire?
“Sì, per qualche minuto. Ma me la sono cavata”.
Cosa ricordi di quei momenti?
“Tutto, sono rimasto cosciente”.
Sei stato aggredito alle spalle, quanti erano?
“Non lo so, non li ho visti, è stato un attimo”.
Cosa pensi dei tuoi aggressori?
“Niente, che devo pensare?”.
Potevano ucciderti...
“Allora? Dovrei dire che sono infami, pezzi di merda? No, allo stadio le coltellate si prendono e si portano a casa”.
Perché ti trovavi a Ponte Milvio, in mezzo agli scontri?
“E lo vengo a dire a te?”.
Allo stadio ci tornerai?
“Certo, perché non dovrei?”.
Perché è stato un derby tanto violento? Non avevate firmato un patto di non belligeranza?
“Sei poco informato”.
Il problema è con il gruppo laziale “In basso a destra”?
“Questo lo dici tu”.
Ma tu appartieni a qualche gruppo?
“La conversazione è finita”.

Fonte: Gazzetta.it


Perché gente del genere possa e debba avere qualcosa a che fare con il calcio, resta per me un mistero.

lunedì 19 aprile 2010

Maradona e quella punizione impossibile contro la Juventus...



Stadio San Paolo, Fuorigrotta, Napoli. Domenica tre novembre 1985, si gioca Napoli-Juventus. Le tribune sono gremite per la gioia dei bagarini, che festeggiano, pazzi di gioia, incuranti dell'incontro. La Vecchia Signora, Trap in panchina e Platini in campo, è reduce da uno stupefacente otto-su-otto: dal fischio d'inizio del campionato, nessuno è ancora riuscito ad estorcerle nemmeno un punto. Ma Napoli, il Napoli e soprattutto Diego Armando Maradona sono di parere opposto: un pareggio? Nemmeno per scherzo, si scende in campo per fare bottino pieno. La folla brama un successo, infreddolita sugli spalti intrisi d'acqua. Diego recepisce, e dà il via ad un monologo tinto del suo colore più caro, quello della sua maglietta: se Pino Daniele fosse stato lì quel giorno, «Napule» non sarebbe stata «mille culure» ma uno solo, azzurro-Napoli.
Garella; Bruscolotti, Carannante; Bagni, Ferrario, Renica; Bertoni, Pecci, Giordano, Maradona, Celestini da una parte, Tacconi; Favero, Cabrini; Pioli, Brio, Scirea; Mauro, Bonini, Serena, Platini e Laudrup dall'altra. L'arbitro fischia, inizia Napoli-Juventus, nona giornata del campionato di Serie A 1985-86. In campo c'è una sola squadra, quella che gioca in casa. I settantamila fedelissimi partenopei non riescono a cogliere alcuna gioia nella prima frazione di gara, e qualcuno comincia addirittura a temere che la banda di Trapattoni possa prolungare ulteriormente la propria, incredibile, striscia di successi. Ma così non è.
L'apoteosi, in quel giorno da cani, viene raggiunta nel secondo tempo. Dopo ventisette minuti l'uomo in giacchetta nera, il pisano Giancarlo Redini, comanda un calcio di punizione indiretto. Siamo nell'area di rigore juventina, e Tacconi inizia a sudare freddo: davanti a lui c'è Diego Armando Maradona, e nei suoi occhi brilla una luce sinistra. Nessuno immagina cos'abbia intenzione di fare quel tarchiato argentino, ma il sinistro educato sulle difficili strade di Villa Fiorito già freme. Pecci, intanto, ha già toccato il pallone: tutto ciò che Maradona farà da quest'istante in poi sarà regolare, anzi, legale. Diego allora fa due passi, e calcia. Lo fa con l'interno del vellutato sinistro, come di consueto, ma la cosa non convince appieno la stragrande maggioranza degli spettatori: troppo vicino Diego, sei troppo vicino, quella palla non scenderà mai in tempo. Poveri illusi.
La palla ha già gonfiato la rete del desolato pescatore Tacconi, che di professione fa il portiere ed ha quindi interesse a mantenere immacolata la propria ragna. La «piuma» di Maradona, però, non vuole sentir ragioni, nemmeno dalla fisica: persino gli studiosi si sono cimentati nell'analisi di quella traiettoria impossibile, rimanendo con un palmo di naso. Diego, bontà sua, aveva gabbato pure la scienza, oltre alla Juventus.

Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

sabato 17 aprile 2010

lunedì 12 aprile 2010

Quella leggenda chiamata Vado...



Vado: voce del verbo andare o squadra di calcio? Visti i temi trattati in questa rubrica, si tratta indubbiamente della seconda opzione. Per scoprire cosa c'entri una piccola realtà calcistica quale è l'F.C. Vado 1913 (attualmente primo nel girone A di Promozione ligure) con la storia del calcio bisogna risalire al 1922, anno della disputa della prima Coppa Italia. Il torneo, che poco ha a che fare con quello odierno per format e tempistiche, era stato indetto dalla FIGC: le squadre affiliate alla rivale CCI (Confederazione Calciatori Italiana), quindi, si astennero dal parteciparvi. Senza gran parte delle «big» dell'epoca - Inter, Juventus, Pro Vercelli, Genoa e Livorno non presero parte alla competizione -, il Vado decise di giocarsi le sue carte, ché magari qualcosa di buono sarebbe venuto fuori. E così, tra le 37 partecipanti al torneo figurò anche la compagine rossoblu, espressione calcistica di Vado Ligure (provincia di Savona), poco più di 6.000 abitanti all'epoca dei fatti. La formazione vadese, allora come oggi, militava in Promozione: la differenza sta nel fatto che, a quel tempo, il campionato equivaleva all'attuale Lega Pro Prima Divisione, non certo al terzo livello dilettantistico dei giorni nostri. La squadra, di tutto rispetto, annoverava tra le sue fila i fratelli Babboni (Achille, Bacicin e Lino), Roletti, Marchese, il regista Esposto ed il bomber Levratto: il campionato culminò con la promozione, a braccetto con l'Entella, in Seconda Divisione Nord, un'antenata della Serie B, all'incirca.
La stagione agonistica 1921-22 passò però alla storia per via della conquista della Coppa Italia, ottenuta anche grazie alle ottime disponibilità economiche della squadra. Niente corruzione o porcherie simili, ma semplicemente un costante vantaggio del fattore campo: il regolamento della neonata competizione prevedeva infatti che la squadra ospitante corrispondesse cento lire alla FIGC, rimborsasse il viaggio in treno in terza classe alla squadra ospite e retribuisse con trenta lire ognuno dei suoi dodici componenti (undici giocatori più un dirigente). Facile capire che di squadre disposte a sborsare un tale cifra ce ne fossero poche all'epoca, e così il Vado si trovò a disputare in casa propria ben cinque delle sei partite complessive: l'unica trasferta fu quella del 18 giugno 1922, 1-0 alla Pro Livorno nei quarti di finale con gol del centravanti Marchese al 75'. La semifinale, disputata nuovamente in casa, vide i rossoblu aver ragione della Libertas Firenze dopo ben 116': un gol dell'ala destra Roletti regalò ai liguri un posto in finale. Per scoprire chi sarebbe stato l'avversario nell'atto conclusivo del torneo si dovette attendere il 9 luglio, poiché fu ordinata la ripetizione di Udinese-Lucchese 4-3 a causa di un errore tecnico: il «replay» finì 1-0 per i friulani, che si garantirono così un posto in terza classe sul treno diretto Udine-Genova in partenza sette giorni dopo.
La finale, disputata il 16 luglio, vide chiudersi i tempi regolamentari sullo 0-0: il Vado fece buona guardia, resistendo agli attacchi dell'Udinese. I supplementari, così come i primi 90', si conclusero a reti inviolate, rendendo necessario il «tempo ad oltranza». A risolvere il match fu un Virgilio Felice Levratto - «oh, oh, oh, oh, che centrattacco!», cantò poi il Quartetto Cetra - neppure diciottenne, che quel giorno squarciò la prima rete della sua carriera - ne seguiranno molte altre - con un potentissimo tiro di esterno sinistro al 127'. La coppa, consegnata a Vado il 17 settembre del '22, oggi non esiste più: i suoi quasi nove chili d'argento furono immolati alla fusione patriottica il 18 dicembre 1935, giorno «dell'oro alla patria». Di quel 16 luglio 1922 non ci sono più testimoni, né in carne ed ossa e neppure in metallo: resta solo una riproduzione dell'originale, custodita in una vetrina dell'agenzia della Cassa di Risparmio di Savona in piazza Cavour, ovviamente a Vado. Ma il ricordo di quel giorno riecheggia ancora nelle parole degli anziani, quasi obbligati a tramandare quest'avvenimento irripetibile a figli e nipoti.

Antonio Giusto


Fonte: Goal.com

sabato 10 aprile 2010

giovedì 1 aprile 2010

Il Palermo di Delio Rossi e Liverani: parte tattica

Rilevante pubblicazione per la parte tattica dell'analisi rosanero: l'articolo è infatti da poche ore online sul sito Alleniamo.com, tra i migliori del settore. Ve la ripropongo con piacere.



Con l'approdo di Delio Rossi in Sicilia, il gioco del Palermo è migliorato in modo sensibile, come testimonia la scalata della classifica. Prima di analizzarlo, è importante sottolineare che Rossi, nonostante in passato sia stato tacciato di essere un arcigno difensivista, è cresciuto alla scuola di Zeman. Niente spregiudicato 4-3-3 con la linea difensiva oltre la metà campo, ma una sua evoluzione più accorta e produttiva: Rossi ha infatti scelto per il suo Palermo un 4-3-1-2 «intelligente», ben conosciuto sia da lui che dalla squadra dato che così si giocava al Barbera con Ballardini, e con questo stesso modulo il tecnico riminese ha guidato la Lazio al successo in Coppa Italia un anno fa.

I princìpi del gioco sono rimasti invariati, com'è naturale che sia, anche grazie alle molte similitudini con la Lazio: Miccoli è una seconda punta tecnica quanto e più di Zarate, tendente all'assist ma che non disdegna mettersi in proprio, come dimostrano le 13 marcature stagionali; Cavani e il suo sostituto Hernandez hanno movenze simili a Rocchi, centravanti che svaria su tutto il fronte offensivo con il taglio come arma segreta; Liverani è un Ledesma mancino con una visione di gioco migliore, più lento ma anche e soprattutto più esperto; il duo di terzini, Cassani-Balzaretti, ha le stesse proprensioni offensive - e le carenze difensive: non bisogna essere omertosi - di Kolarov e Lichtsteiner; in chiusura il portiere, perché Sirigu ha l'età che aveva Muslera la scorsa stagione, e proprio come l'arquero uruguagio ha sottratto il posto al titolare designato (lì Carrizo, qui Rubinho).

La manovra del Palermo, quindi, non è molto dissimile da quella della Lazio targata Rossi. Ad orchestrarla ci pensa il già celebrato Liverani, di cui ho tessuto le lodi poche righe fa. La manovra passa necessariamente dai suoi, sapienti piedi: una volta ricevuto il pallone, preferibilmente fronte alla porta in modo da non doversi girare (la lentezza è un dato di fatto: per rendere al meglio Liverani necessita di palloni giocabili immediatamente, di prima o al massimo ai due tocchi), il regista rosanero smista il gioco sugli esterni per gli accorrenti terzini oppure cerca la verticalizzazione. Spesso è lui a «pulire» il pallone per Pastore, cui spetta il compito d'inventare trenta metri più avanti. Nel caso in cui Liverani sia impossibilitato dal pressing avversario a ricevere il pallone (succede spesso quando l'avversario adotta un centrocampo a rombo speculare a quello palermitano, in cui il trequartista va a far pressione sul regista rosanero sin dall'inizio dell'azione), la scelta ricade sul centrale sinistro di difesa, Cesare Bovo: destro naturale con buona visione di gioco, il cui piede è assai più educato di quello del compagno di reparto Kjær, che basa il proprio gioco sulla notevole fisicità ed il tempismo dell'intervento. Terza opzione: le discese dei terzini, tanto care a Zeman. Con Cassani e Balzaretti, duo che sta vivendo una stagione da incorniciare, la scelta si rivela spesso proficua: dotati entrambi di buona corsa e piedi sufficientemente buoni, il dialogo con i centrocampisti gli consente spesso di proporsi al cross, soprattutto per un Budan che raramente disdegna tali iniziative.

Fin qui abbiamo visto ciò che accade quando al Palermo viene consentito di far partire l'azione dalle retrovie, ma non sempre è così. In particolare contro le grandi, Inter-Juve-Milan-Roma, i rosanero hanno basato i propri successi sulle ripartenze, scindibili in due categorie: originate nella propria metà campo e provocate nella metà campo dell'avversario. Per quanto concerne il primo genere di contropiede, emblematico è il gol segnato a San Siro contro il Milan sul finire del 2009: pallone recuperato da Miccoli (in costante ripiegamento difensivo) a trenta metri dalla porta di Sirigu, e conduzione centrale dell'azione accompagnata da una doppia sovrapposizione sugli esterni, con lo stesso Miccoli a sinistra (cui Pastore recapiterà poi il pallone) e Cavani a destra. Cambiano gli intepreti, ma sostanza è sempre la stessa: un uomo con la palla per vie centrali e due compagni di squadra che si propongono sull'esterno, pronti a tagliare così come a costringere al rinculo la difesa per consentire al portatore di palla di calciare in porta o di servire il centrocampista che arriva a rimorchio.

Alternativa gustosa e spesso più efficace - ma anche rischiosa, se non eseguita a dovere - il pressing alto: poiché Pastore viene spesso esentato dall'azione di pressing al fine di preservarne la freschezza, un incontrista va ad aiutare l'attaccante in fase di raddoppio sul difensore in possesso di palla sulla propria trequarti campo difensiva. Così facendo, il pallone viene recuperato ad una distanza spesso esigua dalla porta avversaria, ed i palloni serviti sul taglio degli attaccanti finiscono quasi sempre per cogliere impreparate le terze linee avversarie. Tale pressing offensivo è favorito dall'atteggiamento difensivo: la linea a quattro (Cassani, Kjær, Bovo e Balzaretti guidano la classifica dei più presenti in questo Palermo 2009-10: la linea difensiva è ben oliata e poco avvezza all'errore), sempre compatta, andando ad accorciare sin quasi sulla linea di centrocampo, costringe la squadra ad alzare il proprio baricentro per far sì che il pressing risulti ancor più efficace. Un ultimo appunto per quanto concerne la fase difensiva, riguardante la marcatura del trequartista avversario: non avendo Liverani le doti adatte per francobollare il «10» di turno, Rossi ha scelto di far uscire un centrale difensivo sul trequartista avversario, facendo scalare il terzino al centro ed imputando al mediano laterale il raddoppio sul trequartista; in tal modo, l'azione può immediatamente ripartire dai piedi Liverani, così da innescare il già illustrato contropiede.

Questa la vivisezione tattica del Palermo di Delio Rossi, cui però è volontariamente sfuggito l'elemento di rottura: Fabrizio Miccoli, con i suoi dribbling e le sue invenzioni, costituisce la variabile impazzita di un sistema di gioco che, proprio grazie al suo estro, rappresenta una delle più belle realtà del calcio italiano.

Antonio Giusto

Fonte: Alleniamo.com

Promossi&Bocciati di Inter-Cska Mosca: Stankovic è implacabile, Akinfeev salva i russi, Honda ingolfato



Inter: Nel primo tempo gli uomini di Slutski vengono analizzati alacremente; individuati i loro punti deboli, si può procedere all'attacco. La ripresa è arrembante, i russi non ci capiscono un accidenti. Sneijder crea, Milito finalizza, Pandev no. Unica pecca, per l'appunto, la poca freddezza sotto porta: occasioni alla mano, un 3-0 non avrebbe certo destato scalpore. E invece il goal di vantaggio è solo uno, che non chiude certo il discorso relativo alla qualificazione. Voto 7

Cska Mosca
: Presentarsi a San Siro per fare la partita è pura utopia, siamo d'accordo. Ma se si vuol fare catenaccio, che lo si faccia bene allora: la difesa balla e parecchio anche, mentre il contropiede si dimostra ospite poco gradito in casa Cska. Honda spettatore non pagante, Necid non pervenuto. Un ringraziamento ad Akinfeev è dovuto, soprattutto da parte di Slutski. Voto 4,5

Stankovic
: Onnipresente. Dove c'è il pallone, c'è lui. E la sensazione è che anche se si giocasse su un campo da golf lui sarebbe capace di non farsi sfuggire nessuna sfera. Mostruoso. Unica pecca, la poca freddezza davanti ad Akinfeev: il portiere russo neutralizza una conclusione da distanza ravvicinata e, non contento, si ripete su un destro velenoso dalla lunga distanza. Se fosse entrata lì, adesso si starebbero avviando le pratiche per la santificazione di Stankovic. Voto 7,5

Akinfeev
: Degno avversario di una grande - la «g» è minuscola, per ora - Inter. Senza questa saracinesca umana, il Cska starebbe già riponendo nel cassetto il sogno-Champions. Para tutto, ma veramente tutto. E quando non ci riesce, c'è Vasili Berezutski a metterci una pezza. Voto 7

Sneijder
: Gli è sufficiente defilarsi sulla sinistra - ordine di Mourinho, of course - per cambiare il volto della partita. Dà la sensazione di vedere cose che noi umani potremmo solo immaginare in più d'una occasione, finendo per servire a Milito il pallone dell'1-0. Certo è che, se avesse aperto un po' di più l'angolo all'84', ora staremmo parlando di un'Inter già in semifinale. Voto 7

Necid
: Esiste il «centravanti boa» ed esiste il «centravanti ectoplasma». Necid appartiene alla seconda categoria, per fortuna di Julio Cesar. Pressoché nullo per novanta minuti, i pochi palloni toccati vengono gettati alle ortiche a causa dei ferri da stiro impiantati al posto dei piedi. Ritenti, forse - ma io ne dubito fortemente - sarà più fortunato. Voto 4

Milito
: Novello Re Mida: tutto ciò che tocca si tramuta in oro. Non è una novità, ma ogni volta che questo prodigio accade ci ritroviamo a raccogliere la mandibola, cascata in terra per lo stupore. A Milito basta una frazione di secondo per mandare a vuoto due uomini e freddare Akinfeev, all'Inter basta il suo gol per vincere. Voto 7

Honda
: Il tanto acclamato giapponese si perde nei meandri di San Siro. Samuel e Materazzi sono due orchi cattivi cui lui, personaggio da manga, non è abituato. Forse gli converrebbe imitare Nakata anche sul campo, oltre che dal parrucchiere. Voto 4,5

Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

El Principe Milito sa trasformarsi anche in Zar, russi ko



L'Inter vince. E convince: termina 1-0, ma il divario poteva essere molto più ampio. Mourinho andrà quindi a Mosca consapevole della superiorità dei suoi, ma dovrà comunque ricordarsi che un numericamente striminzito 1-0 non rappresenta certo un'ipoteca sul passaggio del turno.

In campo - Mourinho e Slutsky optano entrambi per il 4-2-3-1. Lo Special One, che lascia Cordoba e Chivu in panchina, sceglie Materazzi per affiancare Samuel al centro della difesa in sostituzione dello squalificato Lucio. Stankovic rimpiazza invece Thiago Motta, anch'egli in tribuna a causa della squalifica rimediata nel ritorno dei vittoriosi ottavi di finale. Attacco nerazzurro: dietro Milito il trio composto da Eto'o, Sneijder e Pandev. Risponde il CSKA con il giovanissimo Schennikov (classe '91) a comporre la terza linea assieme ai gemelli Berezutski ed il veterano Ignashevic; mediana composta dal duo Aldonin-Samberas; Mamaev, Honda e Krasic alle spalle del centravanti di peso Necid. Dzagoev, non al meglio, parte dalla panchina.

Si gioca - Primo tempo monotematico: l'Inter attacca, il Cska difende, e le reti restano immacolate. Per infrangere il muro eretto dal giovane collega Slutski, Mourinho decide di puntare sulla lentezza della difesa russa: il pallone ilnprofondità è una costante del primo tempo interista. Uniche, possibili alternative, le incursioni di Maicon (Mamaev nullo, il brasiliano può concedersi tutte le discese che vuole) sulla destra ed i calci di punizione di Sneijder. Come già anticipato, all'Inter va male: la mira è pessima, e quando c'è da parare Akinfeev non si tira certo indietro. Capitolo Cska: difesa ordinata e raddoppio costante sull'uomo in possesso di palla; quando si tratta di attaccare, due opzione: palla a Krasic (ammonito, salterà il ritorno così come Aldonin) e preghierina al santo cui si è devoti, oppure conclusione dalla lunga distanza sperando che Julio Cesar svenga. Insomma, 0-0 comprensibile: le occasioni da gol, quelle vere, si contano sulle dita della mano di un monco.

In avvio di ripresa si accende il Cska, ma è un fuoco di paglia: due conclusioni dalla lunga distanza, poi il nulla. Complice l'arrendevolezza dei russi, l'Inter sale in cattedra dettando i tempi del gioco. I nerazzurri ci provano con convinzione: Sneijder, Stankovic, Pandev Eto'o, ma Akinfeev non regala nulla. E allora tocca a Diego Milito, con un destro «principesco» - controllo e tiro in un fazzoletto, trovategli voi un aggettivo più adatto - superare la saracinesca russa. In completa trance agonistica, l'Inter va ad un soffio dal raddoppio con Pandev e Sneijder, senza però agguantarlo. Inutili gli ingressi in campo di Dzagoev (fuori un impalpabile Honda), Mark Gonzalez e Rahimic. Di Cambiasso e, soprattutto, Stankovic gli ultimi tentativi: Ankinfeev dice di no e tiene aperto il discorso qualificazione. Vince l'Inter 1 a 0, ma il divario poteva essere ben più ampio.

La chicca - Minuto sessantacinque: Sneijder serve Milito, che controlla, frega la difesa russa con un tocco d'esterno destro e fulmina Akinfeev. La palla muore nell'angolino basso alla destra del portiere, San Siro esplode.

La chiave - Sneijder, chi altri se no? Nella ripresa s'allarga sulla sinistra, mandando fuori giri la difesa moscovita: dai suoi piedi nasce anche e soprattutto il gol di Milito.

Top&Flop - Stankovic è onnipresente, recupera mille palloni e pare in grado di recuperarne altrettanti; Cambiasso è la sua degna spalla. Sneijder, come al solito, fondamentale. Milito non è da meno. Sotto tono Eto'o e Maicon. Cska: il nulla, o quasi. Si salvano solo Akinfeev - inutile spiegare il perché - e Vasili Berezutski, l'autore del provvidenziale salvataggio in occasione del tiro di Pandev a porta vuota.

Antonio Giusto


IL TABELLINO

INTER-CSKA MOSCA 1-0

MARCATORI: 65' Milito (I)

INTER (4-2-3-1): Julio Cesar 6,5; Maicon 5,5, Materazzi 6,5, Samuel 6,5, Zanetti 6; Stankovic 7,5, Cambiasso 7; Pandev 6 (93' Mariga sv), Sneijder 7, Eto'o 5,5; Milito 7. All.: Mourinho 6,5

CSKA MOSCA (4-2-3-1): Akinfeev 7; V. Berezutski 6, A. Berezutski 5,5, Ignashevich 6, Schennikov 5; Aldonin 5 (75' Rahimic 5), Semberas 5; Krasic 5, Honda 4,5 (68' Dzagoev 5,5), Mamaev 4,5 (72' Gonzalez 5); Necid 4. All.: Slutski 4,5

ARBITRO: Howard Webb 6,5

AMMONITI: Materazzi (I), Krasic, Aldonin (C).

Fonte: Goal.com