venerdì 29 luglio 2011

Calcio d'angolo - Roma a porte scorrevoli



In quest'estate di Coppa America, la Roma del calcio si scopre a porte - è proprio il caso di dirlo - scorrevoli. Tra i pali della Lazio, Muslera è stato rimpiazzato da Marchetti, ma è sulla sponda giallorossa della capitale che si agitano i guantoni. Júlio Sérgio, che pure era stato il miglior portiere del campionato nel 2009-2010, si è ritrovato a Lecce, mentre Doni ha indossato - gratuitamente: a Trigoria ne avevano abbastanza dei suoi errori - la maglia del Liverpool. Per rimpiazzarli, oltre a Curci, tornato all'ovile, ecco Kameni: tre milioni di euro all'Espanyol e un quadriennale al calciatore, ma l'affare non è ancora stato messo nero su bianco. Eppure sembra questione di ore da ormai un paio di settimane, così come l'approdo di Stekelenburg ai piedi del Colosseo. Ad attendere l'olandese, oltre che l'affetto dei tifosi, c'è un quadriennale da 2 milioni a stagione, mentre all'Ajax dovrebbero andarne 6 più 2 di bonus.

Nato ad Haarlem nel settembre 1982, il gigantesco (197 centimetri d'altezza) Stekelenburg para ad Amsterdam da quando aveva 15 anni, e di lì non si è mai mosso, tranne che per difendere i pali della propria Nazionale. Con cui ha raggiunto la finale in Sudafrica, dando prepotenti segni di vita ad un mondo calcistico che l'aveva sin lì ignorato: giovanissimo protagonista in Champions League nel 2002-03, quando appena ventenne giocò tre partite (curiosità: 22' contro l'Inter, tutti e novanta contro la Roma) dimostrandosi però ancora acerbo. Tra un infortunio e l'altro è maturato, anche se - proprio a causa dei costanti problemi fisici - ha addirittura perso il posto tra i pali dell'Ajax nel 2009, quando van Basten - che pure gli ha regalato l'esordio in Oranje - decise di relegarlo in panchina per far spazio al più solido Kenneth Vermeer. Un passato poco incoraggiante dal punto di vista fisico, ma nel pazzo mondo del calcio conta solo ed esclusivamente l'oggi, ed allo stato attuale delle cose Stekelenburg è certamente uno dei migliori portieri del globo.

Però. Perché c'è un però, anzi più di uno: lo spettro di Gomes anzitutto, saracinesca tra i pali del PSV Eindhoven, scioltosi come neve al sole in Premier League, aleggia sinistramente su di lui. Volgendo poi lo sguardo sull'Italia dei portieri, non può che saltare all'occhio il trasferimento di Sirigu al Paris Saint-Germain per 3 milioni e mezzo appena: la metà di Stekelenburg. L'estremo difensore sardo, due presenze in azzurro, è stato costretto a varcare le Alpi per guadagnare 1,2 milioni di euro: è mai possibile che nessuna squadra della Penisola abbia avuto il coraggio di puntare su di lui? Certo, reduce com'è da una stagione di alti e bassi - dovuti, in parte, alle incomprensioni con il preparatore dei portieri Paradisi, acuiti dalle beghe contrattuali - forse qualcuno avrebbe arricciato il naso, ma ha 24 anni appena, sensibili margini di crescita, e - soprattutto - un passaporto italiano. Ora, magari, finirà a fare la riserva di Nicolas Douchez tra i pali del PSG.

Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

domenica 24 luglio 2011

Calcio d'angolo - La Viola, così, appassisce


Risparmiare sul concime è concesso, estirpare le radici no: così facendo, la Viola appassisce. Questa metafora botanica, personalmente, mi pare azzeccatissima per descrivere ciò che sta accadendo in seno alla Fiorentina: il monte ingaggi (il concime) è sì stato ridotto di circa 15 milioni - lordi - da Corvino, ubbidiente giardiniere al servizio della proprietà, ma per riuscirci sono stati (s)venduti - sino ad ora - due cardini della squadra (le radici) come Mutu e D'Agostino, senza tra l'altro guadagnarci un singolo euro, anzi rimettendoci parecchi quattrini: il regista è stato lasciato tornare all'Udinese, che l'ha poi girato al Siena, per 111 mila euro, dopo aver sborsato 5,6 milioni per la metà del cartellino e 2,2 di stipendio. Non vanno poi dimenticati gli altri quattro svincolati: Donadel, Santana, Comotto e Avramov, tutti agevolmente accasatisi in Serie A, con i primi due addirittura catapultati in Champions League dalla firma con il Napoli.

Ma, in tema di illustri addii, il peggio deve ancora arrivare. Frey, ad esempio, è stato silurato da Mihajlović: per l'allenatore, il posto tra i pali se lo giocano Boruc e Neto. Il portiere francese, vanamente offerto al Genoa, pare ora essere diventato l'alternativa - dell'alternativa: Viviano - di Stekelenburg, per una Roma alla disperata ricerca di un estremo difensore affidabile. In uscita anche Gilardino, nonostante le smentite di Mihajlović: il centravanti ha un contratto sino al 2013, ma pretende un prolungamento - con annesso ritocco dell'ingaggio - per rimanere a Firenze. Infine, ecco Montolivo, in scadenza nel 2012 e recentemente privato della fascia di capitano, scivolata sul braccio di Gamberini: per il centrocampista di Caravaggio, dove crebbe il sommo Michelangelo Merisi, c'è il Milan alla finestra. A mio parere, è lui il Mister X di cui tanto si è parlato: mezzala, capelli folti, piedi buoni, anzi ottimi, passaporto comunitario, centottanta e passa centimetri d'altezza e - dulcis in fundo - occhi cerulei.

Al momento di sostituirli, Corvino ha opportunamente assecondato i Della Valle e scelto di limitare gli esborsi. Il brasiliano Rômulo, che vanta il prezioso passaporto comunitario, è costato 2 milioni e mezzo, quanto il giovanissimo (classe '93) difensore serbo Nastasić. Nelle ultime ore, ecco il presunto sostituto di Montolivo, Lazzari, oltre all'alternativa a Behrami, Munari, e per completare il proprio mosaico Corvino sogna Aquilani. I tifosi della Fiorentina, invece, si augurano di svegliarsi al più presto e scoprire che questo atroce ridimensionamento sia stato solo un brutto sogno.


Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

martedì 19 luglio 2011

Calcio d'angolo - La Copa di quelli che non vogliono andare in vacanza


Non so come si dica «favorito» in spagnolo, ma ho il vago sospetto che questo vocabolo non compaia nei dizionari stampati tra Punta Gallinas e Cabo de Hornos. Il perché? Presto detto: Argentina, Brasile, Cile e Colombia rispedite a casa rispettivamente da Uruguay, Paraguay, Venezuela e Perù. Chi ci ha preso, anche investendo una semplice decina d'euro su questa multipla, ora sta pianificando la vacanza dei propri sogni. Garantito.

Tutt'altro che contrariati dal dover lavorare almeno sino al 23 luglio, anzi speranzosi di posticipare l'ultimo giorno di servizio al 24, appena quattro uomini. Sergio Markarián, Oscar Tabárez, Gerardo Martino e César Farías, in rigoroso ordine di qualificazione. Profondamente diversi l'uno dall'altro, ma - assistiti dalla suerte - capaci di condurre in semifinale i propri uomini, che magari si chiameranno Vizcarrondo e Cichero anziché Lúcio e Thiago Silva, oppure Chiroque e non Messi, ma sono ancora lì ad inseguire la Copa. Grazie anche, o forse soprattutto, a chi predica calcio seduto in panchina.

Don Marka, ovvero Sergio Apraham Markarián Abrahamian. Nato a Montevideo nel '44 da famiglia armena, trasferitosi a 7 anni in Argentina, sul pino dal 1976. Ha girato metà Sudamerica, transitando sulla panchina del Paraguay ed assaggiando la Grecia. Lo chiamano «Mago», non hanno torto: un Perù desolatamente ultimo nel girone di qualificazione ai Mondiali 2010, senza quel monumento di Claudio Pizarro (degnamente sostituito da Guerrero, più gol in queste quattro partite che nell'ultima Bundesliga con l'Amburgo) e con il già citato Chiroque al posto di Farfán, si godrà un piazzamento in Coppa America che alla Blanquirroja manca dal '97, quando ne buscò 7 in semifinale dal Brasile di Romário e Leonardo.

Oscar Tabárez, undici partite sulla panchina del Milan nel 1996, detto «el Maestro», dovrà fare i conti con il suo di maestro quando - a La Plata - si ritroverà di fronte Markarián. Anno di grazia 1977, Tabárez rincasa in Uruguay dopo un'annata messicana nel Puebla, ed alla guida del Bella Vista trova l'uruguaiano d'Armenia. Poi Oscar, trentunenne, appende gli scarpini al chiodo e Sergio va a sedersi sulla panchina del Danubio. E chissà che Markarián non abbia fatto in tempo ad insegnare al suo allievo che, se il tuo mediano si fa espellere al 38' sul campo dei favoritissimi padroni di casa, tenere in campo le due punte (Suárez e Forlán) è la migliore delle soluzioni. Forse è andata così, o forse si è trattato di una manifestazione della celebre garra charrúa.

Gerardo Martino, «el Tata», è nato a Rosario il 20 novembre del '62. Undici giorni più tardi di Sergio Batista e cinque mesi dopo Mano Menezes. A lui tocca il Paraguay, gli altri due si godono l'Argentina ed il Brasile, lui lavora con Estigarribia e Vera, gli altri due si coccolano Messi e Neymar, Agüero e Thiago Silva. Lui è in semifinale, gli altri due si apprestano alla pubblica gogna. Da Ripacandida, in provincia di Potenza, da cui partirono i suoi nonni, ecco il più grande sottovalutato della panchina sudamericana.

César Farías, nato allenatore nel marzo 1973. Cinque mesi in più di Javier Zanetti, ma undici in meno di Marcelo Elizaga, il portiere dell'Ecuador, nonno della Coppa America. Sulla panchina del Nueva Cádiz a 25 anni e vincitore della seconda divisione venezuelana, nel febbraio 2008 si è meritatamente ritrovato a guidare la Vinotinto. Ha sconfitto il Brasile, per la prima volta nella storia del calcio venezuelano, e condotto i suoi oltre i quarti di Coppa America, per la prima volta nella storia del calcio venezuelano. Che sia anche la prima volta in finale? Lui - come ovvio - se lo augura.


Antonio Giusto


Fonte: Goal.com

venerdì 15 luglio 2011

Calcio d'angolo - Il colpo di scena di De Laurentiis



Da uomo di cinema quale è, Aurelio De Laurentiis ha saggiamente pensato di sorprendere gli addetti ai lavori con un colpo di scena. La pacchiana presentazione di Gökhan Inler, «'o Lione», (stra)pagato 17 milioni di euro, è riuscita nella sorprendente impresa di catalizzare l'attenzione della folla sugli acquisti del Napoli, da tutti celebrati, quando fino a pochi giorni fa non si parlava d'altro che dell'imminente addio di Hamšík. Complimenti, presidente. Ma adesso, mi lasci dire la mia sul suo calciomercato - sino a qui, sia chiaro: è il 15 luglio, non manca il tempo per rivoltare la squadra come fosse un calzino e farmi cambiare opinione.

Via all'analisi, quindi. Ma prima di scervellarsi su nomi e contratti, stipendi e firme, trattative e bufale, occorre ricordare cosa sta combinando questo Napoli. Che il 19 giugno 2005 vedeva svanire la promozione in B contro l'Avellino, e tra poco più di un mese - il 22 agosto, per la precisione - sarà di scena al Camp Nou, per contendere al Barça di Messi e Iniesta, Xavi e Piqué, il Trofeo Gamper. Sono passati poco più di cinque anni, e l'unico superstite della Serie C è Grava: giù il cappello.

Ma la stagione che va ad incominciare, ne sono certo, sarà la più ardua per De Laurentiis. La tanto agognata Champions League, meritatamente artigliata dagli azzurri, è una dolce sanguisuga: ti regala gioie ed emozioni, ma ti succhia le energie necessarie per ben figurare in campionato. Di scudetto, quindi, meglio non parlare: scaramanzia, o più semplicemente realismo, per i tifosi del Napoli, ora intenti ad ammirare i nuovi gioielli di cui il presidente li ha omaggiati. Il nome più altisonante è quello del già citato Inler, ma Riccardo Bigon, figlio dell'Alberto scudettato nel '90, non si è posto limiti in queste prime settimane di mercato.

Innanzitutto, si è ben pensato di chiudere a doppia mandata la porta: scaduto il contratto di Iezzo e Gianello, per rimpiazzarli ecco Rosati (costato circa 3 milioni) e Colombo. E qui c'è poco da scrivere perché, se De Sanctis si riconferma in forma smagliante, ai suoi colleghi non rimarrà che la Coppa Italia per testare i guantoni. Dalla parte opposta del terreno di gioco, in attacco, nessuna novità, ma un sogno - del presidente, che Mazzarri pare non condividere - di nome Trezeguet, che a me sembra infinatamente più adatto di Lucarelli per proporsi come alternativa a Cavani. Personalmente, mi auguro che la nostalgia del Bel Paese riporti Trezegol a segnare in Serie A.

Detto di limature e fantasie, c'è da concentrarsi sul centrocampo. Il reparto nevralgico, perduto Pazienza, ma non la pazienza, ha visto Bigon firmare Donadel a parametro zero: un buon rimpiazzo per Yebda, che rientra al Benfica. Gratis, o quasi, anche Mannini, strappato per 500 euro alla Samp, e che - come Cigarini - farà presumibilmente le valigie, mentre Santana ha seguito il medesimo percorso di Donadel: non dovrà far rimpiangere Sosa, impresa tutt'altro che probitiva. Veniamo ai titolare: le chiavi del reparto saranno affidate a «'o Lione», che non vi sto a ripetere chi è, ma i miei dubbi riguardano Džemaili, trasferitosi a Napoli per 9 milioni. Stravedo per lui, ma temo che - abituato com'è a lottare per la salvezza, a Parma ed in precedenza a Torino - possa affogare nel burrascoso mare della Champions League. E dato che l'alternativa si chiama Gargano, c'è da aspettarsi - augurarsi, se avete il cuore azzurro - un'ultima pennellata.

La difesa, infine, pare sistemata. Federico Fernández, campione del Sud America con l'Estudiantes di Verón nel 2009, andrà a rimpiazzare lo svincolato Cribari - con risultati migliori, si augurano all'ombra del Maschio Angioino. Discutibile, invece, l'acquisto di Britos. Secondo il sottoscritto, l'uruguagio deve invidiare tutto tranne il cognome italiano all'ex compagno di reparto Portanova: 9 milioni sono uno sproposito, visto e considerata la presenza in rosa dell'interessantissimo Víctor Ruiz, prelevato appena sei mesi fa dall'Espanyol. Poi magari Britos prende lezioni da De Laurentiis e, con un colpo di scena, mi smentisce rivelandosi il miglior difensore del campionato. A Napoli ci sperano.


Antonio Giusto


Fonte: Goal.com

martedì 12 luglio 2011

Calcio d'angolo - Un Pozzo senza fondo



Da qualche minuto, c'è anche l'ufficialità. Cristian Zapata, che si sta godendo la sua sorprendente Colombia in Coppa America, è stato venduto al Villarreal per 9 milioni, più che sufficienti per ripianare un bilancio chiuso in passivo - dopo un'eternità - di 6,9 milioni di euro. Gökhan Inler, con la sua carnevalata, ha portato nelle casse friulane altri 17 milioni, in attesa della firma blaugrana di Sánchez. E poi c'è il PSG, che ronza attorno a Benatia.

Per rimpiazzarli, ecco l'ennesima infornata di giovani promesse. Abdoul Sissoko, fratello minore dello juventino Mohamed, l'ivoriano Thierry Doubai e Danilo (prelevato dal Palmeiras, come Armero) sono già in Friuli, mentre per Eliaquim Mangala ('91, dello Standard Liegi) e Paul Baysse ('88, in forza al Brest) pare questione di giorni, forse ore. Acquistati per un tozzo di pane calcistico, chi li conosce, manco a dirlo, ne parla bene: plusvalenze in divenire, si augurano a Udine.

I numeri, raramente veritieri, in special modo nell'universo calcistico, ci dicono quindi che Giampaolo Pozzo è un saggio mercante del pallone. Tra plusvalenze da urlo e ingaggi ragionati (solo Di Natale guadagna più di un milione d'euro l'anno), contratti rigorosamente quinquennali per mettersi al riparo dai ricatti degli agenti e meticolosa ricerca di potenziali campioni affidata al trio composto da Vernier, Policano e Angeloni, coordinato da Andrea Carnevale, ecco una squadra in anticipo sul Fair Play Finanziario di Platini ed ansiosa di affrontare i preliminari di Champions League.

Che, da sogno quale sono, potrebbero presto tramutarsi in incubo, vista e considerata l'assenza di Zapata, Inler e Sánchez, in pratica la spina dorsale della squadra giunta quarta. L'urna poi, affatto benevola, «regalerà» un'avversaria tra Arsenal, Bayern Monaco, Lione, Villarreal e - presumibilmente - Benfica, con Dinamo Kiev, Panathinaikos e Twente indiziati a prendere il posto delle «Aguias» portoghesi: la tanto agognata fase a gironi è, in pratica, un miraggio.

Alcune volte, sarebbe il caso di inseguire i propri sogni non badando al bilancio. Altre volte, invece, sarebbe il caso di badare al bilancio anziché inseguire sogni che potrebbero trasformarsi in incubi (Sampdoria docet). Giampaolo Pozzo, evidentemente, ama fare sonni tranquilli. In bianco e nero, anzi: in bianconero.

Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

lunedì 11 luglio 2011

Calcio d'angolo - Lamela non è affatto matura


Erik Lamela ha firmato il quinquennale da un milione e mezzo l'anno che sta dando libero sfogo all'immaginazione del popolo giallorosso, sognante in vista della luna di miele a Riscone di Brunico dal 15 al 26 luglio. Celebrato dai giornali e da YouTube, profumatamente pagato dalla Roma - si parla di 10 milioni, più eventuali bonus - ma in pratica sconosciuto alle nostre latitudini.

Tutti parlano di un fenomeno, di un prodigio che a 19 anni dà del «tu» al pallone, ma con queste premesse il rischio di bruciarlo è concreto. Perché, al giorno d'oggi, Lamela non è affatto matura. Anzi, acerba com'è, la sensazione è che la Roma abbia sbagliato a coglierla così presto dall'albero del River Plate, ma d'altronde non aveva scelta: maturare in B Nacional, seconda divisione argentina, per giunta in una squadra allo sbando, sarebbe stato troppo complicato. Non che farlo nella nuova Roma di Luis Enrique e DiBenedetto sia più facile.

La piazza romanista, notoriamente tra le più calde d'Italia, rischia d'incenerirne il piede sinistro, sua unica fonte di sostentamento calcistico. Perché oltre al dribbling ed all'insolita conduzione della sfera, il bagaglio tecnico del «Coco» è ancora piuttosto povero: poco incisivo sotto porta, riluttante all'invenzione per il compagno. Ricorda, non sul piano tattico, Alexis Sánchez: oggi chiacchieratissimo uomo mercato dell'Udinese in procinto di trasferirsi al Barcellona, un tempo inutile dribblomane, transitato per il River Plate proprio come Lamela. Il «Niño Maravilla» ha impiegato due stagioni d'Italia per esplodere, bisogna concedere del tempo anche all'argentino, senza schiacciarne il talento sotto la pressione di dover essere la reincarnazione di Totti: così facendo, Luis Enrique potrà svezzarlo nel migliore dei modi, consegnando alla Roma un grandissimo calciatore.

Rischio opposto, è che Lamela venga aprioristicamente considerato un bidone. Argomentazione principe di chi già lo considera il nuovo Fábio Júnior è la seguente: si fosse trattato di un vero campione, non avrebbe permesso la retrocessione del River Plate. Peccato che, in Argentina, a retrocedere siano le squadre con la peggior media punti delle ultime tre stagioni, e Lamela abbia preso parte solo all'ultima. Eppoi, al giorno d'oggi nessun calciatore è in grado condurre al successo la propria squadra senza l'adeguata assistenza dei compagni: Leo Messi, il migliore del mondo, sta affogando in un'Argentina che pure gli mette a disposizione Tévez ed Agüero, Cambiasso e Mascherano. Figuriamoci se un diciottenne circondato dagli Affranchino e dai Ferrero poteva riuscire in un'impresa simile.

Ultima avvertenza, niente paragoni con il coetaneo Neymar. Stravincerebbe il secondo, come - all'alba degli anni duemila - avrebbe stravinto Michael Owen se messo a confronto con Samuel Eto'o. Occhio quindi a non bruciare Lamela, che non è né un fenomeno né un bidone, ma può diventare entrambi, a discrezione del popolo romanista.

Antonio Giusto

Fonte: Goal.com

«Calcio d'angolo», la mia opinione su Goal.com



Da oggi, avrò il mio angolo - anzi, il mio calcio d'angolo - anche su Goal.com. Una rubrica d'opinione, senza appuntamento fisso, che mi consenta di esprimere le mie idee su ciò che accade nel mondo del calcio quando ne sento il bisogno - e lo sento spesso. Per cominciare, ecco il mio pensiero sul nuovo acquisto della Roma: Erik Lamela.